Il segretario della CNA di Pesaro e Urbino, Bordoni. “Avanti tutta con i vaccini o ne perderemo altre e via a misure di sostegno reali e non di facciata”
Tra il 2019 e il 2020, primo anno della pandemia, 70 imprese a condotte da donne hanno chiuso i battenti in provincia di Pesaro e Urbino. Significa quasi l’ 1% rispetto ad una platea complessiva di 7.530 imprese rosa presenti nel territorio.
“E’ stato un anno molto difficile come del resto il periodo che stiamo vivendo – commenta il segretario della CNA di Pesaro e Urbino, Moreno Bordoni - nel quale però più di una imprenditrice o lavoratrice autonoma su due non si è fatta travolgere, nemmeno psicologicamente, dall’annus horribilis 2020. In questo periodo, il 40% di questa platea di donne si è impegnato in maniera proattiva, riorganizzando la propria attività, o ha continuato a lavorare registrando a fine anno risultati economici meno negativi rispetto alle previsioni. Viceversa, il 47% circa assicura che, se l’emergenza non sarà superata in breve tempo, potrebbe ridimensionare fortemente la propria attività (39,1%) o addirittura chiudere i battenti (8,3%). Dati, ovviamente, che riguardano le titolari di attività rimaste aperte, al netto insomma delle realtà già cessate. Dobbiamo per questo accelerare al massimo la campagna vaccinale e mettere in campo di misure di sostegno e pronta ripartenza alle attività condotte da donne; sia a livello nazionale che regionale e territoriale. Misure non di facciata da attuare al più presto. Il rischio è di perderne tante altre”.
E’ quanto emerge da una indagine condotta dal Centro studi CNA in collaborazione con CNA Impresa Donna in occasione della festa della donna in un campione rappresentativo di iscritte alla Confederazione.
Il 2020 è stato un anno particolarmente critico per le donne lavoratrici, sia autonome sia dipendenti. La crisi, infatti, ha picchiato duro in particolare nelle attività dove sono presenti in maggior misura le donne. Degli oltre 440mila posti di lavoro persi l’anno scorso in Italia, rileva l’Istat, il 70% circa era occupato da donne e questo in un Paese che ha il più basso tasso di occupazione femminile, Grecia esclusa.
L’asimmetria dell’impatto della crisi sul mercato del lavoro italiano discende dal fatto che i settori maggiormente bersagliati dalla crisi sono quelli che rientrano in filiere (moda, turismo, attività culturali, servizi alla persona), dove maggiore è la presenza femminile in termini di occupazione. E dove è anche maggiore la presenza femminile nell’imprenditoria e nel lavoro autonomo. Se la media dell’occupazione indipendente femminile tra industria e servizi è pari al 31,2%, nelle “altre attività di persone” (in cui rientrano i servizi alla persona) tocca il 57,9%, nell’abbigliamento il 52,8%, nella sanità e l’assistenza sociale il 46,5%, nell’istruzione il 42,3%, nell’alloggio e ristorazione il 41,8%, nel tessile il 41%. A livello psicologico, risultati economici a parte, il 2020 ha avuto un impatto perlopiù negativo: il 60,5% delle intervistate lo ha vissuto con sentimenti di preoccupazione, all’opposto il 37,5% ha affermato di aver guardato al futuro con speranza e fiducia. Le imprenditrici più pessimiste sono soprattutto quelle la cui attività è stata fondata prima del nuovo millennio, evidentemente provate dalle due precedenti crisi. A reagire con maggiore carattere le imprenditrici che hanno fondato da sé la propria attività.
Sono ben quattro intervistate su cinque a essere deluse dall’atteggiamento complessivo dell’opinione pubblica rispetto al loro lavoro, che è meno considerato di quello degli uomini. Un atteggiamento, a loro parere, condiviso dalla politica: due intervistate su tre lamentano la scarsa o nulla considerazione percepita.
Le imprenditrici maggiormente critiche nei confronti della politica sono anche quelle per le quali le tante difficoltà riguardanti la gestione dell’impresa non sono state evidentemente compensate da misure di ristoro fatte su misura per le donne imprenditrici. Questa chiave interpretativa sembra trovare conferma quando si vanno a considerare i giudizi per le misure inserite nella Legge di Bilancio 2021 a favore dell’imprenditoria femminile e la parità di genere. I contributi a fondo perduto, che sono la misura ritenuta più utile dalle intervistate (53%), trovano un maggior favore nell’area delle imprenditrici preoccupate (57,1%). Rispetto a queste ultime, le imprenditrici “ottimiste” esprimono invece un maggior favore per quelle misure in grado di favorire la gemmazione di nuove attività (finanziamenti agevolati e a tasso zero per avviare nuove imprese) e il consolidamento di quelle esistenti: percorsi di assistenza tecnico-gestionale e investimenti nel capitale a beneficio delle imprese.
Infine, anche la valutazione delle misure ritenute più idonee per favorire la conciliazione famiglia-lavoro delle imprenditrici e delle lavoratrici autonome appare influenzata dal modo in cui le imprenditrici hanno vissuto l’anno della pandemia.
Se infatti, complessivamente quasi il 51,4% delle intervistate indica negli investimenti in servizi per l’infanzia (asili nido e scuole materne) e per l’assistenza agli anziani la misura su cui puntare principalmente, questa preferenza viene espressa con maggiore decisione dalle imprenditrici “più reattive” (quasi il 55%). Rispetto alla media campionaria, le imprenditrici “più preoccupate” esprimono invece un maggior favore per misure fruibili nell’immediato (assegno per unico per figli a carico e voucher per acquistare servizi utili alla conciliazione famiglia-lavoro) ritenute le più necessarie per compensare, almeno in parte, la riduzione del reddito derivante dalla crisi.